Con una recente sentenza (la n. 27023 del 2022) la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto che l’investimento di danari di provenienza illecita in criptovalute costituisca il reato di cui all’art. 648-bis.1 c.p., cioè l’autoriciclaggio.
L’Avv. Daniele Minotti interviene sulle pagine della Rubrica Digital&Law di Key4Biz.it per un’analisi dei limiti di punibilità di determinati reati collegati all’impiego di criptovalute.
Il pregiudizio nei confronti delle criptovalute
La decisione della Corte sfavorevole all’indagato, si svela il malcelato pregiudizio che i giudici della Cassazione nutrono –a torto o a ragione non è questo il punto – nei confronti delle criptovalute. Verosimilmente la conclusione giudiziaria e stata provocata da una non completa conoscenza del fenomeno criptovalute anche nella sua origine linguistica.
Criptovalute: qualcosa da nascondere?
In realtà, come ampiamente documentato, criptovalute non deriva direttamente dal citato termine greco, ma dal successivo neologismo “crittografia” che individua una tecnologia atta non necessariamente a nascondere qualcosa, ma, anzi, a garantirne l’autenticità. È da escludere, pertanto, che a priori un investimento in criptovalute – specie in Bitcoin – costituisca di per sé un modo per nascondere la provenienza illecita del provento illegale
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Copertina: Ph. Marcello Moscara